mercoledì 23 marzo 2011

Tav, liti al tempo del Risorgimento

DATE: 14/03/2011
AUTHOR: Ivone Cacciavillani

Ferrovie e l'unità d'Italia

Sta infuriando nel Veneto orientale la controversia sul tracciato ferroviario dell’Alta Velocità nel tratto tra Venezia e Trieste. Ci sono due versioni: una «alta», che la fa correre parallela alle attuali ferrovie e autostrada creando un unico corridoio; l’altra «bassa» che la fa passare rasente alle località balneari, attraversando una campagna ancora vergine, con scempio paesaggistico, secondo gli uni; meno grave - secondo altri- del disagio creato dal fascio di tre strutture giustapposte, che creerebbe una barriera insuperabile. Ovvio che a tale schematizzazione, forse un po’ superficiale, si aggiungono altri e più sofisticati argomenti a favore o contro l’una o l’altra tesi, ma per la nostra riflessione il quadro è sufficiente. Perchè è la diatriba sul tracciato che qui interessa non le ragioni dell’una o dell’altra scelta, ed interessa sotto il profilo celebrativo dei 150 anni dell’Unità. Ricordiamo un grande del Risorgimento veneto, tanto ingiustamente trascurato nel centralismo romanistico del politicamente corretto, che nell’olimpo dei «padri» annovera e onora alcuni, attribuendogli benemerenze non tutte meritate, ne ignora altri.

Daniele Manin è uno degli esponenti e lo fu da subito: repubblicano coerente e intransigente non si piegò ai Savoia e preferì l’esilio. Ovvio che nell’Italia sabauda non fosse politicamente corretto parlarne e l’ostracismo perdura nella labile memoria di noi veneti. La diatriba sulla Tav ce lo richiama alla memoria per un episodio «ferroviario» anteriore al ’48 e alla rinascita della Repubblica Veneta. È almeno un’occasione per parlarne. Il nostro - come si direbbe oggi - avvocato d’affari entra in scena nell’aspra controversia sul tracciato della Venezia-Milano programmata dal governo di Vienna fin dagli anni Trenta (dell’Ottocento) e affidata in «project financing» alla Società Anonima per la Imperiale Regia Strada Privilegiata Ferdinandea. Anche qui fu subito contesa fra tracciato «lungo», sostenuto dall’azionariato viennese che voleva far passare la linea da Bergamo per aumentare i profitti, e quello «breve», che da Brescia puntava dritto a Milano, sostenuto dagli italianisti per velocizzare le comunicazioni. L’avvocato Manin - l’episodio è tratto da una sua celebre biografia ottocentesca - «fece la sua prima comparsa in pubblico a Milano in una riunione di azionisti al Palazzo Brera, 12 agosto 1840. Era noto che la maggioranza dei presenti era favorevole al tracciato che toccava anche Bergamo, ma in cinque ore di discussione i patrioti, diretti dal Manin, dal conte Borromeo di Milano e da Valentino Pasini di Vicenza, riuscirono a ottenere che la decisione fosse rinviata. Quando poi Manin domandò la verifica dei poteri venne interrotto dal clamore irritato di una metà della sala e un agente di polizia, abituato a vedersi obbedire ad ogni più piccolo cenno, avanzò verso di lui e gli ordinò di tacere. Manin, rivoltosi fieramente contro quell’agente di straniero dominio, disse "è consiglio o comando? Se è consiglio io non l’accetto; se è comando perché è ingiusto io non mi piegherò che alla forza". Gli italiani presenti, anche quelli che erano di parere opposto nella discussione della ferrovia, balzarono in piedi e applaudirono. L’ufficiale di polizia se la svignò». Sull’onda del patriottismo prerisorgimentale prevalse la linea «breve», anche se per una ragione non propriamente «ferroviaria».

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