lunedì 28 marzo 2011

Borbone, il regno delle ferrovie? Falso mito, lo dimostrano i dati Svimez

DATE: 21/03/2011
AUTHOR: Angelo Lomonaco

Solo dopo l’Unità d'Italia la rete si sviluppò. Anche al Sud Ferdinando II inaugurò la prima tratta ma poi si fermò

NAPOLI - I lavori per realizzare la strada ferrata che avrebbe collegato Napoli con Nocera, con una diramazione per Castellammare, cominciarono l’ 8 agosto 1838. Dopo tredici mesi il primo tratto a un solo binario giungeva al Granatello di Portici. I vagoni furono costruiti nello stabilimento di San Giovanni a Teduccio, le locomotive acquistate dalla società inglese Longridge Starbuck e Co. di Newcastle. In seguito anche le locomotive furono costruite a Pietrarsa ed esportate pure in altri Stati italiani. Il Piemonte, per esempio, nel 1847 acquistò sette locomotive napoletane. Il primo tratto della Ferrovia fu inaugurato il 3 ottobre 1839 con grande solennità. Re Ferdinando II a mezzogiorno diede il segnale di partenza personalmente con un discorso: «Questo cammino ferrato— disse — gioverà senza dubbio al commercio e considerando come tale nuova strada debba riuscire di utilità al mio popolo, assai più godo nel mio pensiero che, terminati i lavori fino a Nocera e Castellammare, io possa vederli tosto proseguiti per Avellino fino al lido del Mare Adriatico».

Partì quel giorno, tra l’entusiasmo e l’orgoglio di tutti, il primo convoglio ferroviario italiano. Nel 1840 la via ferrata arrivò a Torre del Greco, nel 1842 a Castellammare. I lavori furono continuati per portare la Ferrovia fino a Nocera e terminarono nel 1844. Un secondo tronco ferroviario, finanziato direttamente dallo Stato, raggiunse Caserta nel 1843 e Capua nel 1844. Nel 1853 fu concessa in appalto la costruzione della Nola-Sarno-San Severino, che avrebbe dovuto proseguire per Avellino. Il programma prevedeva poi che la linea Napoli Capua fosse prolungata a Cassino e allacciarsi con la ferrovia dello Stato Pontificio. La Napoli-Avellino doveva proseguire da un lato per Bari-Brindisi-Lecce, da un altro per la Basilicata e Taranto. Furono programmate anche le linee per Reggio e la tratta da Pescara al Tronto. In Sicilia erano previste le linee Palermo Catania-Messina, e Palermo-Girgenti-Terranova. È per questo che la ferrovia è uno dei principali motivi di vanto dei sostenitori dell’idea di un Sud avanzato, penalizzato piuttosto che aiutato dall’Unità d’Italia. Ma è stato veramente così? I dati dimostrano, al contrario, che questo è solo un luogo comune. I progetti dei Borbone erano di tutto rispetto, ma non trovarono corrispondenza nei fatti. Secondo i dati contenuti nel ponderoso studio della Svimez intitolato «Un secolo di statistiche italiane. Nord e Sud 1861-1961» , edito mezzo secolo fa del quale è in via di pubblicazione l’edizione aggiornata «150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud» , nel 1861 nel Mezzogiorno l’estensione della linea ferrata era di 184 chilometri, concentrati in Campania. Nel Centro, però, i chilometri erano 535 e nel Nord 1.801, dieci volte in più. Che fine avevano fatto i progetti così enfaticamente presentati da re più di vent’anni prima e supportati anche dalla produzione? Nel regno di Ferdinando II, dopo la repressione del ’49, vi fu una riduzione drastica della costruzione di nuove strade ferrate, la cui realizzazione si infrangeva contro l’acuto scetticismo del re, che giudicò i collegamenti ferroviari strumento di propagazione delle idee rivoluzionarie e, quindi, elemento di rischio per la stabilità politica dello stato, dolorosamente ristabilita nel 1849, come spiegò Raffaele de Cesare, storico pugliese e giornalista del Corriere della Sera, in «La fine di un regno» , pubblicato in tre volumi nel 1909 e poi in ristampa anastatica qualche anno fa.
Mentre le locomotive meridionali frenavano, nel resto d’Italia il treno avanzava rapidamente. Meno di un anno dopo la Napoli-Portici, il 18 agosto 1840, furono inaugurati i 13 chilometri della Milano-Monza, che aprivano la Imperial Regia Privilegiata Strada di Ferro. Seguirono molte tratte in tutte le regioni del Nord e anche del Centro. Di fatto, quindi, dopo lo slancio iniziale, Ferdinando II fu di freno allo sviluppo e ritardò di un decennio lo sviluppo della rete delle Due Sicilie. E alla sua morte, nel 1859, subito ripartirono i progetti di ampliamento delle ferrovie. Un nuovo stop ci fu nel 1860, in seguito alla perdita dell’indipendenza e l’annullamento di tutte le convenzioni da parte del Dittatore Garibaldi. Poco dopo, tuttavia, i lavori furono in gran parte ripresi e portati a termine. Emblematico il caso della galleria dell’Orco, inaugurata il 31 maggio del 1858, il primo tunnel ferroviario del Regno delle Due Sicilie e forse del mondo, che però andò in esercizio solo dopo la caduta dei Borbone, il 17 febbraio 1861, per collegare la linea ferroviaria Capua Cancello-Sarno a Mercato San Severino, sulla vie delle Puglie. E inequivocabile il dato del 1886, riportato dalla Svimez. In 25 anni i chilometri di strada ferrata si erano moltiplicati passando da 1.801 del 1861 a 5.904 nel Nord, da 535 a 2.176 nel Centro, nelle Isole erano stati costruiti 1.324 chilometri di linea, 893 dei quali in Sicilia, e nel Mezzogiorno continentale i 184 chilometri erano diventati 2.698. Dei quali 734 in Campania, 767 in Puglia e i rimanenti ripartiti in tutte le altre regioni.

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