giovedì 31 dicembre 2009

Un cigarrillo retrasa más de dos horas el tren más rápido del mundo

TESTATA: El Mundo
DATA: 31/12/2009
AUTORE: n/a

El tren de largo recorrido más largo del mundo, inaugurado el pasado fin de semana, tuvo un retraso de dos horas y media después de que un pitillo de un pasajero disparara la alarma en los vagones.

El incidente afectó también a miles de pasajeros de otros trenes que partían de la estación de Cantón, de donde tenía previsto partir el tren bala a las 15.00 hora local de miércoles (7.00 GMT).

El pasajero que causó el retraso no pudo ser encontrado, ya que cuando la alarma sonó ya había abandonado el tren, por lo que se libró de la correspondiente multa, ya que está prohibido fumar a bordo del ferrocarril.

El portavoz de la red de trenes de Cantón recordó a los pasajeros que fumar está prohibido en el tren de alta velocidad, "incluyendo en los baños", y alertó que desobedecer la normativa puede producir problemas técnicos al ferrocarril.

El tren une desde el pasado sábado día 26 las ciudades chinas de Cantón y Wuhan, con una velocidad media de 350 kilómetros por hora, llevando a cabo en tres horas un recorrido que antes costaba más de diez.

Es uno de los primeros pasos de la red de alta velocidad que construye China, que tendrá 16.000 kilómetros en la próxima década y será una de las más modernas del mundo. El país asiático, por otro lado, es el mayor consumidor mundial de tabaco, con unos 350 millones de fumadores.

martedì 15 dicembre 2009

Cavour e il panettone a portata di ferrovia

TESTATA: Corriere della Sera
DATA: 06/12/2009
AUTORE: Piero Chiambretti

Il derby infinito sta per finire: l'alta velocità mette tutti d'accordo: le città diventano una per la gioia collettiva

Se ne parla dai tempi dell’Unità d’Italia del 1861. Al ristorante «del Cambio» di Torino, dove Camillo Benso Conte di Cavour era cliente fisso, non c’era giorno che si parlasse d’altro. Torino era troppo lontana dalla capitale del panettone; per mangiarne uno bisognava partire in carrozza già a Ferragosto per inzupparlo a Natale. Con il passare degli anni le cose sono migliorate: i panettoni hanno cominciato a produrli a Torino. Un centinaio d’anni dopo, l’invenzione tutta americana dell’auto porta sulle rive del Po la fabbrica italiana delle quattro ruo te che spingerà gli uomini di buona volon tà a costruire l’autostrada. Ci volevano due ore filate da casello a casello per sentir si «di Milano»: troppe.
In soccorso arrivarono le Ferrovie dello Stato che grazie alle grandi opere inventa rono l’alta velocità. Per cinque anni un di sgraziato come me ci metteva quattro ore per arrivare a piazza del Duomo e altre cin que (quando l’autostrada era chiusa per la vori) per tornare indietro. Adesso secon do le dettagliate informazioni dei capi sta zione col super treno sali, scendi. Il miracolo italiano è compiuto. Chi vive a Milano può andare a dormire a Torino, chi è disoccupato a Torino può esserlo an che a Milano, ma in un’ora. Le due città sono sempre state in lotta per il predominio di stella polare del Nord. Per decenni noi torinesi abbiamo vissuto la sudditanza della città da bere. Abbiamo ingoiato di tutto: ogni volta che all’estero mi chiedessero da dove venivo ero costretto a dire: «Vivo a Torino... near Milano», un’umiliazione per chi crede nel proprio territorio. A Torino è nato il cine ma, la radio, la televisione, la moda e cosa più importante la scuola Radio Elettra. Ini ziative sistematicamente rapinate dalla fa melica Milano con la compartecipazione della città Eterna.

Gli ultimi due colpi in pole position sono il salone del libro e quello del gusto che tanto piacciono ai cu gini. La rivincita doveva arrivare ed è arriva ta. Nel duemilasei le Olimpiadi della neve sono state la manna celeste per l’ex capita le della lamiera che, presa dall’eccitazione olimpica e dai fiumi di soldi del Comitato Olimpico, è ri nata. Il rinascimento cultura le cittadino ha cominciato a bruciare come la fiaccola arri vata da Atene: strade, palaz zi, piazze, servizi, siti archeo logici sono brillati d’incanto. I Torinesi come sempre, han no accolto con freddezza le novità portate dai Giochi. Ar rivarono a maledire il giorno che la città fu candidata a se de Olimpica. Poi a lavori ulti mati capirono ed oggi vorrebbero anche il mondiale di calcio Sudafricano. The «small apple» ha patito molto l’escalation dei piemontesi in questi anni, unica conso lazione le vittorie dell’Inter e del Milan, che hanno parzialmente placato la frustra zione del sorpasso. L’Expo sarà un’occasio ne per recuperare il terreno perduto. Augu ri. Oggi il derby infinito tra le due città sta per finire. L’alta velocità mette tutti d’ac cordo: le città sono diventate una per la gioia di tutti.

A Torino gli immobili costa no la metà che a Milano, così i bar e i risto ranti; una vera pacchia per quelli che fati cano ad arrivare alla fine del mese. Il treno non abbatte solo i tempi ma anche i costi. Si prospettano vagoni carichi di milanesi transfughi pronti a vivere con tutta la fami glia in Piemonte e continuare a lavorare a Milano. Viceversa quelli di Torino potran no spendere tutta la busta paga il sabato nelle discoteche di corso Como dove le modelle fanno sembrare tutti più interna zionali. Dopo il muro di Berlino che ha per messo ai tedeschi dell’est di scoprire l’occi dente, il Frecciarossa darà una chance ai «bugjanen» di sentirsi al centro d’Europa come cantava Lucio Dalla. Torino ha il fiu me, le colline, cento chilometri di viali al berati, il barocco, le residenze Sabaude, il Museo Egizio, quello del cinema, la Sacra Sindone, Milano il resto. Da quindici anni lavoro in Lombardia, ho ricordi meravigliosi e tanti amici, la cit tà a differenza di Torino accoglie tutti e se hai talento da vendere, ti protegge e ti va lorizza, perfetta per il business, per l’hap py hours per i meetings. Ma è a un’ora da Torino, la mia città: troppo.

giovedì 22 ottobre 2009

The Secret New York Minute: Trains Late by Design

TESTATA: The New York Times
DATA: 16/10/2009
AUTORE: Michael M. Grynbaum

Commuters who think they have caught their trains in the nick of time actually had a minute’s grace to get aboard. The delayed departures from Manhattan have long been a railroading secret.

For a commuter rushing to catch a train, a minute can mean the difference between dinner with the family and leftovers in the microwave.

What most passengers do not realize is that their minute is already there.

Every commuter train that departs from New York City — about 900 a day — leaves a minute later than scheduled. If the timetable says 8:14, the train will actually leave at 8:15. The 12:48 is really the 12:49.

In other words, if you think you have only a minute to get that train — well, relax. You have two.

The phantom minute, in place for decades and published only in private timetables for employees, is meant as a grace period for stragglers who need the extra time to scramble off the platform and onto the train.

“If everyone knows they get an extra minute, they’re going to lollygag,” explained Marjorie Anders, a spokeswoman for the Metro-North Railroad. Told of this article, Ms. Anders laughed. “Don’t blow our cover!” she said.

Entirely hidden from the riding public, the secret minute is an odd departure from the railroad culture of down-to-the-second accuracy.

The railroad industry literally helped invent the concept of standard time, and time zones were established in the United States in the 1880s, 35 years before they were written into law.

And most commuters know their train by the precise minute it departs; John Cheever, chronicler of the Grand Central commuter set, titled one memorable short story “The Five-Forty-Eight.” (Turns out it was the 5:49.)

The trains quickly make up the minute: at all other stops, the public timetable prevails.

The courtesy minute does not exist at commuter railroads in Chicago, Los Angeles, Philadelphia, or San Francisco.

But in New York, railroad enthusiasts said, the secret minute dates back decades.

“That’s been done forever, from my knowledge,” said Jack Swanberg, 70, an unofficial historian of Metro-North who once oversaw departures at Grand Central Terminal. “I was the trainmaster starting in 1970, and it was the case then. I’m sure it’s been the case since 1870 for all I know.”

At Grand Central, no rider should consider the minute a guarantee. Train conductors have the discretion to depart at the publicly posted time, as long as the platform is clear and no customers are rushing down the ramp.

But an unscientific survey of 20 trains leaving at rush hour on a recent weekday evening found that, on average, the trains left about 58 seconds past their listed departure time.

No schedules or signs in the terminal suggest the minute exists. At each train’s posted departure time, the schedule billboard announces, “Departed,” even as the train idles at the platform, receiving its last cargo of stumbling, out-of-breath passengers.

A worker in the central information booth, asked if a train was leaving a minute late, emphatically shook his head. “If it says 7:14, it leaves at 7:14,” he said gravely.

Not exactly.

More than half the trains surveyed this week waited the full minute or longer. The tardiest train waited at the platform for 81 seconds, while one train bound for Connecticut pushed off after just 32 seconds.

Still, the delay allowed at least one passenger, already running late, to buy three beers from a nearby concession stand before jogging down the platform to make it onboard.

“It makes me look like I’m a nice guy,” Jason Macaluso, a conductor on Metro-North for 12 years, said with a laugh.

The minute was originally known as “gate time,” dating to the days when gates were used to block off the ramps that lead down to the platforms. (The gates are still occasionally used at Grand Central.)

At the publicly posted departure time, the gates would be closed; those who had already made it through would have a minute to climb onto the train.

The practice gradually extended to trains to Long Island and New Jersey that start in Pennsylvania Station and the Long Island Rail Road’s Brooklyn terminal.

Railroad officials seemed somewhat cagey when asked about the minute.

An Amtrak spokesman admitted that a few of his railroad’s trains in major cities wait 60 seconds after the listed time, but he did not specify exactly which trains or which cities.

Riders told of the tacit 60-second reprieve were by turns amazed and grateful.

“I was surprised the train was still there, to tell you the truth,” said Christian Riddle, 28, slightly out of breath and looking more than a little relieved, as he leaned into a leather seat on a Brewster-bound local at Grand Central the other day.

According to the departure board, his train had left at 8:22 p.m., just as the timetable promised.

But Mr. Riddle, a carpenter headed home to Hawthorne, N.Y., ran anyway, hopping into the rear car just as the clock ticked 8:23. Ten more seconds passed before the doors slid shut.

Missing the train would have meant a half-hour wait for Mr. Riddle, who deemed the secret minute policy “pretty cool.”

“But I’d still try to get there on time,” he added. “You never know.”

mercoledì 22 luglio 2009

Sul treno con ritardi, sporcizia e ruggine

TESTATA: Corriere della Sera
DATA: 21/07/2009
AUTORE: Corriere della Sera

Un controllore a bordo: «È una vergogna far viaggiare la gente in queste condizioni»

MILANO- Ritardi, sporcizia e la ruggine di vecchie carrozze. Sulla Freccia Salentina puntuali sono solo i disagi. Come tanti treni a lunga percorrenza il Milano – Lecce delle 9 di sera è un calvario quotidiano per i viaggiatori. Alcune carrozze vantano più di trent’anni di servizio. Ruggine e ossido sbucano dalle giunture, persino dai pannelli delle centraline elettriche. I sedili sono logori, sulla stoffa blu e grigia una mappa variegata di macchie e incrostazioni. A bordo rabbia e rassegnazione, compresa la nostra di cronisti, titolari di un biglietto e di una prenotazione in prima classe, in un vagone che non c’è.

DISAGI- «Succede molto spesso», spiega un utente abituale della tratta. «Le carrozze non corrispondono alle prenotazioni, è sempre un terno al lotto». Dai capotreni risposte secche, automatiche: «Non ci posso fare nulla, chiedete il rimborso». Intanto però il viaggio viene affrontato senza un posto, in una vettura declassata. Troviamo un ferroviere che si sfoga, con l’impegno che gli venga garantito l’anonimato: «L’azienda dovrebbe vergognarsi, far viaggiare la gente in queste condizioni è improponibile. C’è poca pulizia, i vagoni arrivano e ripartono in continuazione, la burocrazia e le lungaggini per i rimborsi sono ostacoli insormontabili». Arriviamo a Piacenza, a un’ora di viaggio, con già venti minuti di ritardo accumulati. Noi scendiamo insieme alle immagini per documentare la nostra testimonianza. La Freccia Salentina insieme al suo carico di viaggiatori prosegue verso Lecce, orario d’arrivo previsto le 8 e 30 del mattino.

lunedì 20 luglio 2009

Confessions of a high-speed junky

TESTATA: The Guardian
DATA: 23/06/2009
AUTORE: Giles Tremlett

Like many Spaniards, Giles Tremlett is hooked on the country's high-speed AVE trains. He hops on the latest route, and hurtles from one end of the country to the other.

The snow-capped foothills of the Pyrenees are in the far distance, framed by my picture window against a foreground of olive trees and open countryside. The menu in my hand, as I settle down with a glass of fino sherry in a wide, comfy seat, promises green salad with cured duck breast, mango and poppy seeds. A set of small, green digital figures above the compartment door mark 301km/h (187m/h).

I am travelling Club Class in one of Spain's high-speed AVE trains, in a style that Monocle Magazine recently referred to as "the best first class rail development" of the year.

I'm bound for various interesting work assignments, but I'm most excited about trying the latest offering from the growing AVE network - a direct service from Seville to Barcelona in five and a half hours. That's a 516 mile, as-the-crow-flies trip - roughly the same as, say, London to Aberdeen. I have booked ahead, so my hours of pampering on this stretch of the trip cost a modest €96.

After 18 years hopping from one Spanish airport to another I am now a self-confessed AVE addict. The hassle of crowded, out-of-town airports like Barcelona or Madrid becomes more nightmarish as the ease of getting on a train increases. The AVE has put the pleasure back into travel. It can now take me from Madrid to a dozen of Spain's main - and not so main - cities at speeds that top 300km/h. Train trips to Cordoba, Valladolid, Segovia, Toledo, Girona, Tarragona and Zaragoza now take much less time than by air. I have even been to tiny Huesca - a short hop from some of Spain's best ski slopes - in under two and half hours. The airplane still wins (though only just) in both time and price on trips to Barcelona, Seville and Malaga, but that is easily made up for by the gain in comfort and ease. Spaniards have voted with their wheely-bags. They are flocking back to railway stations.

Watching the Spanish countryside speed past like a never-ending roll of film, I occasionally see the old (meaning last year's) railway lines snaking their way around rocky outcrops and hills. My AVE is flying in a straight line, bludgeoning its way through tunnels and cuttings. Spain has been unabashed about the way it has rolled out these lines. Most cut straight through open countryside, giving you an unusual tour through some of the more remote bits of Spain.

There are tantalising views. Villages, castles, hillside chapels and cortijo farmhouses speed into sight, spark the imagination, and then rush out of view just as quickly. They are the sort of places that I would never see had the engineers not decided to put the tracks here. I have even come to recognise some of the landmarks along the lines from Madrid to Seville (the first route, which opened 17 years ago) and to Barcelona (just over a year old); an abandoned seminary here; a tiny village tucked into a valley there; or, even, the almond groves that blossom pinky-white in Tarragona in March.

The network is still really in its infancy. Another 9,000 kilometres are to be laid in a decade, with links into Portugal and France. It will be Europe's biggest high-speed network, putting 90% of Spaniards within 30 miles of a station.

I am not the only one to be impressed. Barack Obama's transport secretary, Ray LaHood, was on one of the AVEs the other day - no doubt wondering how he could get them going across the USA.

He was in Club, like me, but I'm guessing he didn't need to book ahead in order to bag a discounted fare. Then again, although I'm a sucker for the pampering, it doesn't really matter where you sit to get the best bits - you get the same views in the cheap seats, and at half the price.

mercoledì 8 luglio 2009

Papá, ven en tren

TESTATA: El Periódico
DATA: 08/07/2009
AUTORE: Juli Capella

Papá, mamá, hijos, amiguetes: venid en tren. Porque no traquetea tanto y empieza a ser más puntual, el AVE y el Euromed. Venid en tren porque es más probable que lleguéis a casa sanos y salvos que yendo en coche. Además, podréis disfrutar leyendo el periódico. O paseando arriba y abajo zampándoos el bocata. O bien mirando el paisaje por los amplios ventanales, aunque sea para comprobar la avaricia edilicia de la última década. También es posible que os ofrezcan ver una peli y os enchufen unos auriculares chungos, pero no es obligatorio usarlos. Podréis descansar un rato, ir al vagón bar o, incluso, echar una cabezadita, siempre que los vecinos no sean moviladictos. Iréis del centro al centro de la población gozando de mayor bienestar, a no ser que se desmadren con el aire acondicionado. Pero sin caravanas, sin agobios ni pitidos. No hará falta llevar pasaporte ni quitarse el cinturón al embarcar. Y las damas podrán llevar cuantos líquidos, cremas y demás potingues se les antoje.

Viniendo en tren habrás destrozado menos el territorio; en proporción usarás una décima parte de lo que ocupa el coche. E incidirás infinitamente menos en lo que a desaguisados estéticos se refiere. Viniendo en tren, contaminarás menos por el camino, pero ojo, la generación de electricidad ensucia en origen.

Mientras no exista la teletransportación, el tren seguirá siendo uno de los medios más efectivos para desplazarse. Por eso Renfe debería mejorar el servicio de Cercanías, todavía muy precario. Ir en tren debería ser más barato y potenciarse con nuevas vías y estaciones por todo el país. Sin que obligatoriamente pasen por Madrid, ni siquiera por Barcelona.

giovedì 18 giugno 2009

Why we all need a little railway romance

TESTATA: The Times
DATA: 17/06/2009
AUTORE: Richard Morrison

Train companies want to reopen some long-since extinct local lines. Hallelujah! We can learn a lot from rail history

Yes, I remember Adlestrop. I’m old enough. As a nipper, en route to family holidays in the Cotswolds, I even passed through this, the most famous village railway station in the world — though, unlike in Edward Thomas’s poem, the train didn’t stop (“unwontedly” or otherwise) for me to hear all the birds of Oxfordshire and Gloucestershire chirruping in euphonic polyphony.

I also remember Grogley Halt, Tumby Woodside, Marston Magna, Maddaford Moor, Wootton Bassett, Edington Burtle and Rumbling Bridge. Not because I passed through them all in short trousers (what did you think I was, a prepubescent trolley service?), but because a mad uncle gave me an illustrated gazetteer, Railway Stations of the British Isles, for my sixth birthday, and I spent hours — no, actually years — poring over those weird and wonderful station names.

I wish I still had it because it beautifully chronicled the railways in all their pre-Beeching glory. Some 21,000 miles of tracks! Almost 6,000 stations! And nearly every village in the realm connected to every other one by an intricate spider’s web of branch and main lines, ingeniously threaded through hills and over rivers by some of history’s greatest engineers.

The railways were a Victorian marvel invested by early 20th-century Britain with an aura of romance. In novels such as Buchan’s The Thirty-Nine Steps, poems such as Hardy’s Midnight on the Great Western and Larkin’s Whitsun Weddings, and films such as Brief Encounter, trains and stations weren’t just locations. They were metaphors; characters in their own right. In their heyday they exuded the very spirit of the nation — a nation that still had an Empire and a sense of destiny. So of course, after the debacle of Suez and the collapse of national self-confidence, we set about destroying them. In just two decades 9,000 miles of track and 4,000 stations were obliterated: a blitz endorsed by Tory and Labour ministers.

It was a sustained orgy of heritage desecration, institutionalised myopia and contempt for public opinion that made what Ceausescu did to Bucharest look like the work of an enlightened democrat. The saving in subsidy was tiny. But the price — urban gridlock, rural isolation, car dependence and the erosion of village life — was vast. We are still paying it.

Little wonder then that, as The Times reported on Monday, train companies want to reopen 34 lines axed by Beeching in the 1960s. They claim that these lines can now attract thousands of commuters, so vexatious has motoring (and parking) become on our clogged highways.

Well, good luck to them. One problem they face is that the green lobby — which might be expected to support the plan — could be hostile, because many disused lines have been turned into popular cycleways or footpaths. Another is that the country is so broke that the notion of spending half a billion quid to revive the world of Thomas the Tank Engine (as the proposal has already been caricatured) seems as remote as daily flights to Mars.

But if we don’t feel rich or idealistic enough to reinstate axed lines, may we at least restore some of the romance, charm and glamour that used to be associated with rail travel? Do all journeys have to be so stressful? Must all stations be dull and dingy, and all station buffets franchised to bland multinationals? And do transport staff have to be so grumpy?

These questions were prompted by an entertaining book just out. Piccadillyland is unlike any other novel. First, it was written by dozens of authors, some long dead. And second, it’s free — at least if you travel on the Piccadilly Line. Transport for London has commissioned it, as part of its commendable Art on the Underground programme, to celebrate the Piccadilly Line’s centenary. And the compilers, Emma Rushton and Derek Tyman, have done a clever job. They have combed thousands of novels for mentions of the Piccadilly Line and then woven hundreds of disparate paragraphs into a surreal new narrative. Of course it doesn’t tell a logical story, but it hangs together via an intriguing tangential logic. And you can have a lot of fun trying to identify each author (all is revealed at the end).

Some are obvious. Rankin’s Rebus, Mortimer’s Rumpole and Dexter’s Morse all travelled on the line. But there are also snippets of Will Self and Fay Weldon, Iris Murdoch and Nick Hornby, George Orwell and Tom Clancy, Jeffrey Archer and Agatha Christie (a gruesome bit of electrocution at Hyde Park Corner station, from The Man in the Brown Suit). Rushton and Tyman even quote from a novel called Piccadillyland, by Rushton and Tyman . . . a nice postmodern touch.

That made me think. If this one Tube line is mentioned so often in fiction, there must be thousands of references to the entire Tube network. And if you added all the mentions of mainline British railway stations in literature, you could probably publish a book longer than War and Peace. Call me fanciful, but to me this suggests that the British have an intense desire not simply to use their railways, but to feel pride in them — and, yes, even to love them, despite all their aggravations.

Railway companies need to nurture that. Many of us are forced to give them a good chunk of our waking hours, and a lot of dosh as well. What they give in return is often shoddy, unreliable and dispiriting. We should be getting fine design, comfort, mystique, even glamour. Journeys should be pockets of tranquillity in frenetic lives, not exhausting scrums. And all stations should aspire to the calm, cool beauty of Grand Central in New York. Even Stalin realised that. The finest architecture in the Soviet Union was the Moscow Metro.

The recently restored St Pancras station in London is a promising new beginning. It is elegant yet unpretentious, grandiose yet welcoming, bustling without having that terrifying Dante’s Inferno atmosphere that you encounter in the whirling vortex of London Bridge or the subterranean gloom of Birmingham New Street. But of course St Pancras was designed to impress the French, pouring off the Eurostar. On the Continent they still expect train journeys to be stylish and chic, as well as very fast. Only in Britain do we tolerate high fares, tortoise speeds and soulless squalor. How sad that — as with cricket, parliamentary democracy and state education — we now trail the world in something we invented.

martedì 16 giugno 2009

Una vida en el túnel

TESTATA: El Pais
DATA: 15/06/2009
AUTORE: Pilar Álvarez

Recorrido con el conductor más veterano en el 90 cumpleaños del metro

Cuando empezó, le llamaban "el Niño". El mote no desmerece. En la fotografía de la promoción de 1968, su cara de chaval destaca. La gorra rígida en la mano, el uniforme oscuro y la mirada del que tiene toda la vida por delante. "Ya ves, cometí la chaladura de meterme en esto", dice José Luis López, de 65 años. Y se ríe. Ríe mucho el conductor más veterano del metro. Él no quiere hacer cálculos -"¡Uy, eso ni lo pienso!"-. Pero bastan un par de operaciones. Ocho horas al día, 270 días al año, 42 años de servicio... José Luis López ha pasado más de una década de su vida metido en el túnel.

Ahora que el metro cumple 90 años, el hombre accede con un poco de vergüenza -"¡me vais a hacer famoso!"- a compartir un viaje por su línea (Metrosur) y por su memoria. Hace el relevo en el andén de Puerta del Sur. Entra y se acomoda en la cabina. Asiento de cuero, reclinable. Gran cristalera desde la que siempre se ve la luz al final del túnel. El tren se pone en marcha. El viaje en el tiempo también.

El Niño tenía un tío trabajando en el metro. "Están buscando conductores, ¿por qué no te presentas?", le dijo una tarde. No parecía muy difícil, pensó. ¿Qué preguntaban en el examen? "Una suma, una resta, una multiplicación, una división y un dictado. Aprobé, claro". Su primer sueldo fue de 3.500 pesetas. Ahora, con los pluses de antigüedad y del turno de noche, la nómina ha crecido hasta 2.300 euros, dice casi con reparo. Pulsa el botón que apaga los faros.

El tren frena en el andén de la estación de Universidad Rey Juan Carlos, donde pasean los chicos que vienen de hacer la Selectividad, con los ojos de miedo, el manojo de apuntes y casi la misma cara de inocente que José Luis López debía tener cuando empezó a bajar cada día a los túneles. Eso fue antes de rotar por la mitad de las líneas -ha conducido por los raíles de las líneas 1, 6, 7, 11 y 12-. Cuando, en lugar del asiento reclinable, tocaba pasar ocho horas en un sillín de bicicleta. Y dolía, sí. Nueva risa de lado. "A veces se aflojaba y te caías al suelo". La cabina era mínima. Casi un metro por un metro. Con el freno de mano a un lado, multitud de botones tras la cabeza. López lo resume con una frase que retumba como si estuviera preparada: "Antes tú llevabas el metro, ahora el metro te lleva a ti".

La conducción es automática. La pantalla de la izquierda ejerce de chivato. Alterna imágenes del interior del vagón, donde se han acomodado los chicos de la Selectividad, con otras de la siguiente estación (Manuela Malasaña), a la que aún no ha llegado el tren. Se ven nítidos los raíles vacíos, unos cien metros antes de frenar. "Es para evitar los suicidios", dice. En 40 años se ha cruzado con alguno, claro. Comentario escueto. "Vuelves a casa con mal cuerpo". El peor accidente, la noche que vio cómo un compañero perdía la pierna tras resbalar al andén.

El ruido del tren en el túnel -un chirrido terrible que retumba como una tormenta-, se come sus palabras. ¿Cómo se acostumbra uno al estruendo? "Ya ves, con los años, pero se pierde mucho oído aquí abajo... y mucha vista también". De momento, sólo usa gafas para leer.

La estación de Hospital de Fuenlabrada está casi desierta. Como sus noches de trabajo. En los días buenos, confiesa, pasa el rato "mirando a las chicas guapas de los andenes". Pero si está preocupado, las horas muertas sin compañía son un vaivén de pensamientos retorcidos. No guarda muchos malos recuerdos, a pesar de todo. Entre los peores, el 23-F, la noche del intento de golpe de Estado en 1981. "Salí de casa y le dije a mi mujer: 'Milagros, que a lo mejor ya no vuelvo". Y pasó la noche de turno (de 23.00 a 6.00) pegado a un transistor con los compañeros en una cabina de la estación de Aluche.

La de noches que habrá pasado Milagros con el hueco de la cama vacío. El conductor lleva casi 30 años en el turno de noche. Traslada a los últimos pasajeros del día y luego mueve trenes en las cocheras. Tantas noches fuera que ahora, cuenta José Luis, su mujer ya no sabe dormir acompañada. "Los días que libro, me dice que vuelva al trabajo, que quiere la cama para ella sola". Sus tres hijos, ya mayores, aún le echan en cara las nocheviejas y nochebuenas que pasó en la cabina, con la cena en una tartera y la familia brindando sin él. "Las más tristes de todas, seguro".

Ya no le ocurrirá más. En dos meses, José Luis López se jubila. Este madrileño - "gato puro, de padres y abuelos de aquí"- dejará los andenes y huirá a menudo de Getafe a Torremolinos, en Málaga, donde compró una casa para recuperar todo ese sol que ha perdido durante tantos años bajo tierra. "Sobre todo echaré de menos a los compañeros", confiesa casi al completar el recorrido. Llega su relevo. Y se va, como vino, riendo.

mercoledì 27 maggio 2009

E i passeggeri «sequestrano» il tram

TESTATA: Corriere della Sera
DATA: 26/05/2009
AUTORE: Gianni Santucci

E i passeggeri «sequestrano» il tram
«Ci porti a casa»: i viaggiatori impediscono a un mezzo della linea 1 di raggiungere il deposito

MILANO - «Adesso lei ci porta a casa. Punto». Non aggressivi. Abbastan­za educati. Ma irremovibi­li. Occupano i binari quando sono da poco pas­sate le sette e mezza di lunedì pomeriggio e loro han­no già aspettato «più di mezz’ora». Piccola som­mossa dei passeggeri sul tram della linea 1, tra via Vitruvio e via Settembri­ni. Sommossa improvvi­sata che alla fine ha suc­cesso. E un tram che sa­rebbe dovuto andare drit­to in deposito viene «di­rottato ». Cambia pro­gramma e porta le perso­ne a casa. «Perché la pa­zienza dei cittadini ha un limite» dicono gli «agita­tori».

Gente civile che s’è ribellata al termine di uno dei pomeriggi più caldi delle ultime settima­ne. E sulla pazienza, l’afa soffocante ha un peso. La sequenza degli eventi pare sia iniziata intorno alle 19: i passeggeri iniziano a raccogliersi alla fermata, passano i tram delle altre linee, ma non l’1. Ad aspettarlo sono sempre più persone, che si lamentano. Si tranquillizzano quando vedono un tram avvicinarsi, e salgono, «ma a quel punto — racconta uno dei passeggeri — il tranviere ci ha detto che doveva andare in deposito».

Prima ribellione: «Invece ci porta a casa, è già troppo tempo che aspettiamo». Si arriva a un accordo, perché dietro c’è un altro 1 in arrivo. I passeggeri scendono, ma al momento di salire sull’altro tram notano il cartello «deposito». Ed esplodono. Occupano i binari. La conducente dice: «Ma io devo eseguire gli ordini». Risposta: «Li faccia cambiare, questi ordini». Telefonate e conciliaboli. Un po’ spaesata, alla fine, la tranviera dice: «Ok, andiamo».

venerdì 15 maggio 2009

La segunda estación de trenes de Barcelona se queda 15 horas a oscuras por una avería

TESTATA: El Pais
DATA: 15/05/2009
AUTORE: Jesus Garcia / Bertran Cazorla

La segunda estación de trenes de Barcelona se queda 15 horas a oscuras por una avería
Más de 21.000 usuarios han tenido que usar linternas para moverse por el andén.- El fallo que se inició anoche en torno a las 21.00 por causas desconocidas

Una avería eléctrica ha dejado a oscuras durante más de 15 horas la estación de Renfe de plaza de Cataluña, la segunda más importante de Barcelona. Los trenes de cercanías han funcionado en todo momento con normalidad, pero más de 21.000 usuarios han tenido que tomar el transporte público ayudados por linternas. La jornada de caos se inició ayer a las nueve de la noche y ha durado hasta pasadas las 12.30 de hoy, cuando ha vuelto la luz.

La reparación de la avería se ha retrasado porque los técnicos desconocían su origen, informó un portavoz de Renfe. Durante el tiempo en que la estación estaba a oscuras, la compañía ha habilitado medios de comunicación auxiliares para facilitar el tránsito de los pasajeros en los vestíbulos y andenes. Como no funcionaban los ascensores ni las escaleras mecánicas, las personas con movilidad reducida tenían que recibir ayuda para subir a los trenes.

15 horas de apagón

Los problemas de energía eléctrica se iniciaron sobre las 21.00 de ayer por causas desconocidas que obligaron a habilitar medios de iluminación auxiliares en la segunda estación más transitada de Barcelona con ayuda de los Mossos d'Esquadra y de los Bomberos, según ha explicado el portavoz de la compañía.

Renfe también ha señalado que se ha reforzado el personal de la estación para hacer frente al contratiempo y que más de veinte personas han estado trabajando para encaminar con luz auxiliar a los pasajeros por los vestíbulos de entrada y salida a los trenes. Un servicio de megafonía auxiliar informaba a los usuarios sobre la situación y les recomendaba seguir al personal para circular por la estación hasta el restablecimiento del suministro eléctrico, que finalmente se ha producido pasadas las 12.30 de este viernes.

"Estoy desorientada, no sé cómo reconoceré mi tren"

"Estoy desorientada, no sé cuándo llegará mi tren". Elena, una señora de unos sesenta años, ha acudido esta mañana desde su residencia en la cercana ciudad de Sant Feliu al centro de Barcelona. Ya a su llegada ha visto que la estación de Cercanías de plaza de Cataluña sufría un apagón. Al mediodía estaba en el oscuro andén subterráneo, esperando al tren que le llevase de vuelta a casa. Y como no funcionaban ni los paneles ni la megafonía, tenía que estar muy atenta para identificar el tren en el que se tenía que montar.

La desorientación ha sido el principal problema al que se han enfrentado los que han pasado por la estación, sin luz durante las últimas quince horas, hasta poco después del mediodía. En algunos momentos, una empleada suplía la megafonía con un altavoz, pero no todo el rato. Ningún responsable de la estación sabía decir por qué. Los usuarios no ocultaban su fastidio, pero encaraban el contratiempo con resignación. Quien tenía más problemas eran las personas con movilidad reducida o los que no conocían la ciudad.

Las dos condiciones reunía un turista danés de edad avanzada y en silla de ruedas tras un cáncer. Se ha apeado, con su mujer y otra pareja de amigos, en esta parada, y se ha encontrado sin ascensor y sin escaleras mecánicas. El personal de la estación le sugería continuar el viaje hasta Sants, donde sí que funcionaba todo. Finalmente, al intrépido viajero le han subido a peso por las empinadas escaleras.

Si unos no podían superar barreras arquitectónicas, otros echaban en falta la luz para orientarse en los planos y consultar los panfletos de horarios. Es el caso de Adela y Salvador, una pareja madrileña de mediana edad que visita Barcelona por primera vez y que trataba de interpretar un mapa de Cercanías aprovechando la tenue luz de las máquinas de refrescos. Éstas no se han apagado, como tampoco lo ha hecho la iluminación del metro, que discurre justo al lado de la estación de cercanías.

"Uso el metro de Madrid a menudo y no me he encontrado nunca un apagón, pero supongo que también allí habrá fallos de vez en cuando", respondía Salvador a la pregunta del periodista de si eso también les sucedía en su ciudad. Un viajero autóctono que esperaba su convoy al lado de la pareja, en cambio, reía sarcásticamente ante la comparación.

martedì 31 marzo 2009

El regreso del tren de los panaderos

TESTATA: El Correo de Andalucia
DATA: 28/03/2009
AUTORE: Iñaki Alonso

El tren de los panaderos resurge de sus cenizas para ser la vía que una Los Alcores con la capital hispalense. Estos raíles, en desuso desde 1974, se postulan como la gran opción para dar cobertura al Cercanías de Los Alcores, un proyecto que están llevando de la mano Mairena del Alcor, El Viso del Alcor y Carmona.

Los alcaldes de los tres municipios tuvieron una primera toma de contacto con la Consejería de Obras Públicas y el Administrador de Infraestructuras Ferroviarias (ADIF) en el que plantearon la necesidad de un trayecto que cubriría una población cercana a los 65.000 habitantes y, de paso, completaría el entramado de conexiones ferroviarias del área metropolitana. Esta primera reunión se cerró con el compromiso de los alcaldes de solicitar un estudio de viabilidad y de demanda del servicio, con objeto de dar cuenta de que es una necesidad real y que económicamente sería rentable.

Pero los alcaldes no fueron a la reunión con las manos vacías, sino que llegaron con los deberes hechos. En eso contribuyó la dirección provincial del PSOE, que diseñó tres alternativas para la llegada de este medio de transporte y hasta un presupuesto que podría rondar entre los tres y los seis millones de euros, según el tipo de la vía requerida para conectar estos 23 kilómetros.
De lo que sí se muestran convencidos los regidores es de que la opción más rentable sería recuperar las vías del histórico tren de los panaderos, que se conoce así porque era la forma en la que el pan de Alcalá de Guadaíra llegaba a la capital hispalense. Es más, con el tiempo se amplió el trazado hasta llegar a Carmona.

Esta alternativa consiste en el aprovechamiento de las infraestructuras de Palmete, Torreblanca, en la capital hispalense, y el polígono Fridex de Alcalá de Guadaíra. Con ello, se diseñaría un trazado que recorrería toda la parte norte de Los Alcores, pasaría por la urbanización El Campillo y llegaría a los pueblos de Mairena del Alcor, El Viso del Alcor y Carmona. También se plantea que las vías de este ferrocarril sigan hasta la pedanía de Guadajoz (Carmona), para conformar un anillo ferroviario que conecte el Cercanías Utrera-Santa Justa-Lora del Río y la futura línea de Los Alcores.

Los tres consistorios, conscientes del apoyo del PSOE, están acelerando los plazos y, para empezar, respaldarán el estudio de viabilidad y demanda con otro que pedirán a una empresa. De este modo, pretenden seguir el modelo que emprendió Los Palacios y Villafranca, como una forma de plasmar en dos informes la imperiosa necesidad de un servicio de este tipo para esta comarca de la Gran Sevilla.

Una buena señal de que el proyecto del Cercanías de Los Alcores va por el camino adecuado es que tras esta primera reunión, que se celebró el pasado mes de enero, ya está concertada una segunda, en la que Obras Públicas y el ADIF concretarán todos los detalles para la puesta en marcha de este estudio de viabilidad y de demanda en la que se perfilará las posibilidades reales de trazado.
Más allá de lo abordado en esa reunión, el proyecto cuenta con una ventaja: el Plan de Ordenación del Territorio de la Aglomeración Urbana de Sevilla (Potaus) contempla la reserva de una plataforma de transporte público en la comarca, que le daría cabida. El único pero a esta mención es que no precisa a qué medio de transporte se destinará, aunque el Cercanías, al menos, ya está tomando posiciones.

L'altra velocità

TESTATA: L'Espresso
DATA: 20/03/2009
AUTORE: Riccardo Bocca

Vagoni vecchi. Sovraffollati. Sporchi. E poi ritardi. Convogli e linee soppressi. Disservizi. Così Trenitalia e Regioni condannano all'inferno i due milioni di pendolari

Martedì 10 marzo. Alle 4 e 20 di mattina, le porte della stazione di Ragusa sono sbarrate. Impossibile scaldarsi nella sala d'aspetto. Impossibile sedersi. Impossibile accedere alle obliteratrici interne. Impossibile, soprattutto, salire su un treno che da quest'angolo orientale della Sicilia arrivi in tempi accettabili a Trapani, cittadina in linea d'aria a 300 chilometri di distanza. L'unica possibilità, oggi come tutti i giorni, è aspettare al buio che l'autista rumeno Florin avvii il motore del pullmino parcheggiato davanti alla stazione. Sul lato superiore del parabrezza c'è scritto: Servizio sostitutivo Trenitalia. Perché è così, che parte questo viaggio nel medioevo ferroviario: barcollando per un'ora e 22 minuti sul bus tra le buche della statale 115. Fino alla stazione di Gela. Poi toccano 38 minuti di attesa, senza la possibilità di accedere ai bagni (chiusi a tempo indeterminato per garantire "la sicurezza e il decoro della stazione", dice un cartello di Fs). Poi altre tre ore e 57 minuti per salire fino a Palermo. E ancora, dopo un'ora e 12 minuti di attesa, ulteriori due ore e 21 minuti per ridiscendere a Trapani. A questo punto, dopo 440 chilometri di tragitto, si è finalmente arrivati. Alle 13 e 50. Nove ore e mezza dopo la partenza da Ragusa.

Eccola, l'altra Italia dei binari. Non quella ad alta velocità battezzata entusiasticamente dall'amministratore delegato di Fs Mauro Moretti. Niente a che vedere con i Freccia Rossa che in tre ore e mezza collegano Milano a Roma. Qui si parla di trasporto regionale. Di tratte brevi, trascurate da dieci, venti, trent'anni. Di una materia sconcertante ovunque: dalla Sicilia al Piemonte, dal Lazio alla Liguria, dalla Lombardia alla Calabria. Un universo fatto di "scarsa puntualità, frequenti ritardi e soppressioni, carentissima pulizia e scarsa manutenzione", scrive Federconsumatori nel dossier 'Essere pendolari, una scelta difficile'. Un capitolo tanto scivoloso che Vincenzo Soprano, amministratore delegato di Trenitalia (responsabile per Fs del materiale rotabile), mette le mani avanti: "Il nostro impegno, su questo fronte, è massimo. E i risultati iniziano a vedersi, almeno sul fronte dei ritardi e dell'igiene. Ma non c'è dubbio: dobbiamo migliorare. Tantissimo".

Un problema ben chiaro ai due milioni di connazionali che quotidianamente si spostano avanti e indietro in treno per studio o lavoro. Solo lo scorso anno, scrive Federconsumatori, i pendolari hanno accumulato cento ore di ritardo. E il disagio continua con punte imbarazzanti, come quelle registrate lo scorso mese. "Il 2 febbraio", scrive l'agenzia Ansa, "la ferrovia Torino-Milano è nel caos. Alle 5,30 si è guastato il locomotore del treno da Cuneo che ha bloccato la linea per Milano. Così il regionale delle 5,50 da Porta Nuova per Milano è stato fermato, ed è ripartito con oltre 20 minuti di ritardo". Dopodiché "lo stesso treno è stato fermato per far transitare l'Intercity, ma una quarantina di persone furibonde sono balzate sui binari e lo hanno bloccato per salire a bordo".

Un episodio unico, eccezionale? Tutt'altro. Passano 72 ore, e alla stazione di Genova Pegli crolla un cavo della linea ad alta tensione. Negli stessi giorni, sulla tratta Pescara-Roma un treno si blocca sui binari e paralizza la linea per l'intera mattina. Il tutto mentre un Intercity Napoli-Milano si rompe in Lazio, prima di Orte, accumula due ore e mezza di ritardo e rallenta la zona. "L'emergenza è culturale, prima ancora che strutturale", dice l'ingegnere trasportista Andrea Debernardi: "I trasferimenti a corto raggio assorbono il 90 per cento del traffico ferroviario. E in futuro sarà sempre così, con masse di italiani che lasciano le città per trasferirsi in centri satellite. Eppure nessuno affronta questa rivoluzione, scomoda da gestire ma fondamentale da risolvere". Tanto cruciale, sottolinea Debernardi, da incidere sui treni a lunga percorrenza, quelli a prestazioni eccellenti: "Perché attenzione: alta velocità non è il tempo che separa una stazione ferroviaria dall'altra, ma quello che il cittadino impiega da casa alla meta finale".

Un concetto condiviso da Marco Suriani, sindaco di Caluso, comune della provincia torinese con 7 mila 500 abitanti e una folla di pendolari. Alle 6 di mattina, nella stazione del paese, mentre studenti e lavoratori aspettano il primo treno in ritardo, stringe tra le mani due orari ferroviari: quello in vigore dal 14 dicembre 2008 e quello sbiadito del 1962. Un confronto impietoso. "Oggi", mostra Suriani, "si parte da Caluso alle 8,10 del mattino, si cambia treno a Chivasso e si arriva a Torino Porta Nuova alle 9,10. Tempo trascorso, un'ora piena per percorrere soli 43 chilometri. Nel lontano 1962, invece, c'era un treno diretto che fermava a Caluso alle 8,07 e arrivava a Torino in 53 minuti". Peggio ancora, il paragone dopo le 9 di sera. "Nel '62 avevamo un treno che partiva alle 21,32 da Torino Porta Nuova e ci portava a Caluso in 43 minuti. Ora c'è un treno che parte alle 22,50, si ferma a Chivasso e ci costringe a un bus sostitutivo che arriva a Caluso alle 23,45. Tempo di percorrenza, quando tutto va bene, 55 minuti".

Domanda obbligata: perché i treni locali corrono indietro nel tempo? Cos'ha portato l'Italia a questa débâcle generale? "La risposta viene da lontano", dice l'ingegnere Ivan Cicconi, esperto di trasporti e autore di svariati saggi sul sistema ferroviario: "Nel 1991, la politica ha deciso che la nazione doveva essere spaccata in due: da un lato i treni ad alta velocità, con poche e costose linee (vedi tabella qui sopra), dall'altro il trasporto regionale, finito nel dimenticatoio e lasciato senza investimenti". Un quadro già di suo critico, a cui nel 2000 si è aggiunto un nuovo elemento: il passaggio, con la riforma Bassanini, della competenza e delle risorse del trasporto ferroviario locale alle Regioni, le quali versano alle ferrovie i finanziamenti ricevuti dallo Stato. "Un sistema sulla carta efficace", spiega Edoardo Zanchini, responsabile trasporti di Legambiente, "ma nella pratica fonte di continui attriti. Ogni giorno le Regioni contestano a Fs i suoi servizi inadeguati. Ed Fs, in parallelo, lamenta il misero contributo dei governi regionali (vedi tabella nella pagina a sinistra, ndr)". Risultato: in tutte le Regioni è scaduto l'accordo annuale con Fs (il cosiddetto 'contratto di servizio'), "e soltanto in Emilia si è sottoscritto il nuovo patto".

Un clima teso, insomma. Nel quale tutto è possibile: soprattutto il peggio. "In Calabria", scrive in una nota la Fit (Federazione italiana trasporti) Cisl, il livello delle ferrovie è zero. Il dito viene puntato contro la carenza di "collegamenti diretti tra i capoluoghi", contro i tempi di percorrenza "lunghissimi" e la mancanza di un "programma di integrazione tra rotaia e gomma". Ma sono fatti che non stupiscono, purtroppo: è l'agonia del Meridione, il degrado nell'indifferenza assoluta. Come le tre ore e 45 minuti che impiega il treno delle 10,22 da Crotone per coprire i 180 chilometri fino a Cosenza. Più sorprendente, invece, è quello che accade nella moderna Lombardia. E in particolare sulla linea tra Milano e Lecco, dove Marco Molgora, assessore verde all'Ecologia della Provincia di Lecco (nonché membro del Comitato pendolari del meratese), allarga le braccia: "Siamo sfiancati. E anche molto delusi", dice. Sul risvolto della giacca ha spillato un nastrino viola: "Il simbolo della nostra protesta. Dal primo marzo, visto il disastro dei treni, ci rifiutiamo di mostrare gli abbonamenti ai controllori". Strano, verrebbe da obiettare: il 10 settembre 2008, proprio su questa linea, è stato inaugurato il raddoppio dei binari tra Carnate e Airuno. "Ma le cose, malgrado i circa 200 milioni spesi, non sono migliorate. Al contrario", dice Molgora: "Su 20 chilometri della tratta sono stati eliminati gli scambi di connessione tra un binario e l'altro, per cui se un treno si guasta blocca automaticamente i successivi". Quanto alla qualità dei convogli, "sono identici a prima: pochi, sporchi, con le soppressioni che abbondano, i ritardi che si moltiplicano e la gente furiosa".

Può sembrare un'esagerazione, eppure non lo è. I viaggiatori sono umiliati, per questo handicap giornaliero. E reagiscono d'impulso, quando si trovano spalle al muro. Lo si è visto, il 27 febbraio, sul treno che parte da Milano alle 17,50 e in teoria arriva a Lecco alle 18,36. È un venerdì sera e i pendolari sono stanchi, desiderosi di godersi il weekend. Ma tra le fermate di Carnate e Osnago, succede ciò che non dovrebbe succedere: il treno inchioda nella campagna e rimane fermo per un'ora e 20. Senza che nessuno fornisca informazioni. L'amarezza è tanta, tra chi viaggia, come l'abitudine a inconvenienti del genere. Così un gruppetto si fa coraggio: spalanca una porta e si avventura al buio sui binari. "Vergogna...", scuote la testa una signora affondando i tacchi tra i ciottoli: "Come siamo ridotti...". Poi la colonna umana s'incammina lungo la ferrovia fino a Carnate. E sempre a piedi, costeggiando la statale, raggiunge Osnago alle nove di sera.

Ora: di tutto questo si dovrebbe parlare con le istituzioni locali. In particolare con Raffaele Cattaneo (Forza Italia), assessore alle Infrastrutture e alla Mobilità della Lombardia. Tra l'altro, il 13 marzo, il pendolare Francesco Graziano gli ha inviato due fotografie, dove mostra le condizioni vergognose del locale 2627 su cui è salito il giorno stesso a Bergamo ("Da dentro", scrive, "si faticava a distinguere cosa c'era fuori, tanto erano sporchi i vetri!"). L'ufficio stampa di Cattaneo, però, informa che l'assessore preferisce non intervenire. E quindi la parola passa al suo omologo in Lazio, Franco Dalia (Partito democratico), il quale spara a zero: "Inutile mentire", dice, "ogni giorno, sui nostri treni vengono calpestati la dignità dei cittadini e il diritto alla mobilità". In questi anni, aggiunge, il trasporto ferroviario locale "ha toccato abissi inaccettabili. E altrettanto inaccettabile è che i vertici di Fs facciano pesare sui pendolari i debiti accumulati, incassando in parallelo con l'Alta velocità".

"Falso", ribatte Soprano, l'amministratore delegato di Trenitalia: "La verità è che nessuna società per azioni si accollerebbe il trasporto ferroviario locale. Per una semplice ragione: non conviene. Noi incassiamo, tra Regioni e biglietti, solo 11,8 centesimi per passeggero a chilometro; una cifra ridicola, se paragonata ai 21 o 22 centesimi di Francia e Germania. Le Regioni chiedono più qualità? Investano più denaro. E firmino contratti di servizio stabili, da sei anni almeno, per sviluppare insieme un serio piano di investimenti".

Una polemica che non finisce mai. Con gli assessori che definiscono Fs un "monopolista arrogante", e i vertici delle ferrovie che li invitano a fare bandi di gara, e vedere chi si presenta a gestire un affare in perdita. Così il tempo scorre, la tensione aumenta e situazioni come quella del Lazio collassano. Basti pensare che, in questa fetta cruciale d'Italia i chilometri di rete ferroviaria sono 1.100, dei quali il 38 per cento a binario unico. Da parte sua, la Regione fa quello che può: ha avviato, per dire, l'acquisto di sei locomotive e di 30 vetture a doppio piano. Ha previsto tra il 2009 e il 2013 incrementi dei servizi. Ma la parola ottimismo resta tabù. O almeno, è vietato nominarla con l'Associazione pendolari della Valle dell'Aniene, da anni schierata contro le carenze della linea che dai confini abruzzesi scende nella capitale. "Ci riservano un servizio scandaloso", dice alla stazione di Mandela (54 chilometri da Roma) il rappresentante dei viaggiatori Enrico De Smaele. Poi sale sul treno delle 6,29 per Tiburtina e lo spettacolo è indegno. Stipati uno addosso all'altro, i viaggiatori oscillano tra sedili macchiati e poggiatesta divelti, carrozze gelide e bagni inaccessibili. "Guardate!", chiama uno studente. Di fianco a una porta d'uscita c'è un pannello di controllo che dovrebbe essere chiuso. Invece è aperto, accessibile a tutti. "Manometterlo, per un vandalo, sarebbe uno scherzo", dice De Smaele. Più difficile, invece, è arrivare in orario: ogni giorno, giurano i pendolari dell'Aniene. Di sicuro oggi, 26 febbraio, con 24 minuti in più rispetto all'ora e 4 minuti prevista.

Tale è l'umiliazione, per chi viaggia in queste condizioni, che qualcuno a un certo punto si ribella. E si rivolge ai magistrati. Lo ha fatto, in gennaio, l'avvocato Umberto Fantagrossi, legale dell'Associazione pendolari piacentini, al quale il giudice di pace Luigi Cutaia ha dato soddisfazione dopo vent'anni di ritardi tra Piacenza e Milano. La cifra del risarcimento è minima, mille euro, ma il precedente non è piaciuto a Trenitalia (che prepara un ricorso). La sentenza, infatti, specifica che il danno da risarcire non è soltanto legato al diritto alla puntualità, ma anche alla "violazione delle norme che regolano l'erogazione dei servizi pubblici, e soprattutto i diritti fondamentali della persona che ispirano la nostra Costituzione, come il rispetto della personalità e della dignità".

Un successo che ha sollevato i pendolari, ma anche una rivincita che sfuma tra mille criticità. Istruttiva, in questo senso, è l'analisi dell'ingegner Cicconi sul materiale rotabile di Fs dal 2000 al 2007: "Il totale delle carrozze", documenta, "è diminuito in sette anni da 85 mila 889 a 58 mila 098. Le motrici sono scese da 5 mila 272 a 4 mila 823, mentre i chilometri di binari sono saliti da 15 mila 974 a 16 mila 335 (di cui a doppio binario, solo 6 mila 156)". Va da sé, afferma Cicconi, "che in questo crollo a perderci è stato il traffico regionale, al quale le ferrovie hanno riservato un risibile rinnovamento dei treni". E come non bastasse, interviene il trasportista De Bernardi, "ci si è messa l'Alta velocità, che senza nodi ferroviari adeguati (pronti nei prossimi anni, ndr) intasa le stazioni con i treni superveloci. I quali, gioco forza, hanno priorità assoluta".

Anche da qui, prendono spunto le migliaia di proteste che finiscono sui siti e blog ferroviari (da www.ilpendolare.com/dblog a www.ritarditalia.it, da blog.libero.it/trenitalia a pendolari.altervista.org). Molti attaccano l'Alta velocità, "il treno dei ricchi che danneggia i poveri", come ironizza Ilda di Benevento. Altri invece, esclusi dall'asse Roma-Milano-Torino, si sentono trattati da cittadini di serie B. E si sfogano. Scrive l'architetto Matteo R.: "Avete presente la linea Bologna-Porretta Terme? Lo sapete che ogni giorno ci saliamo in 8 mila 500? E che c'è ancora il binario unico come nel 1850, quando l'hanno progettata?". "Nel 1919", continua la descrizione Giovanni Zavorri, del Comitato per la ferrovia porrettana, "la tratta era percorsa con la trazione a vapore in 105 minuti. Poi è arrivata la trazione elettrica e si è scesi a 87. Poi ancora, nel 1958 i minuti sono diventati 75, vent'anni dopo 74 e nel 1993 70. Finché il progresso si è fermato: oggi, sui nostri treni lumaca, sfioriamo gli standard del 1958".

Con simili premesse, per i pendolari, è dura non irritarsi quando Alitalia e Fs si contendono, sulla stampa nazionale, il primato per la tratta Roma-Milano. E altrettanto ostico è sorvolare sull'ultima, incredibile vicenda, che ha per protagonisti Bolzano, i treni locali e i disabili. Da dicembre, infatti, entrerà in vigore il regolamento europeo sul trasporto ferroviario. All'interno si dice che i soggetti con mobilità ridotta hanno lo stesso diritto a circolare degli altri cittadini. Ma a Bolzano non è così: "Nel 2007 Trenitalia ha comunicato che avrebbe realizzato appositi interventi", denuncia Annamaria Molin Ferremi, referente in consiglio comunale per i problemi dei disabili. "Invece non ha fatto nulla". Anzi: "Se prima si saliva in carrozzella su regionali e interregionali, ora il servizio non è più attivo".

Per questo, l'11 marzo, il Centro tutela dei consumatori ha annunciato un esposto in Procura, non fidandosi delle ulteriori promesse di Trenitalia. "Saranno anche sincere", sorride Annamaria Molin, "ma sempre a bassa velocità".

sabato 14 febbraio 2009

Historia de un vagón

TESTATA: El Pais
DATA: 01/02/2009
AUTORE: Pilar Álvarez

De la estructura al último asiento, así se construye un tren

Como un mecano gigante. Ensambla, pega, funde, golpea, pinta. Cinco meses de trabajo y tres ciudades (Zaragoza, Valladolid y Madrid) para contar la historia de un vagón, la del Civia en el que cada día suben millones de viajeros de cercanías de Madrid. El tren que viaja de Atocha a Coslada, o de Chamartín a Móstoles. En el que se aprietan cientos de personas en hora punta. Este es su primer recorrido:

PRIMERA PARADA La carcasa

Él es el primero en tocarlo. Sus guantes grises no dejan huella. Ni oye ni habla. Mira por un cristal que le permite fijar los ojos en las chispas brillantes sin quemarse la retina. Un respirador trasero le limpia el oxígeno de humo en la nave de montaje de Zaragoza. Enfundado en su uniforme casi de astronauta, inicia el viaje. En las manos de Miguel Melús, soldador de 7.00 a 15.00, arranca la historia de un vagón que ahora es una lámina de aluminio importada de Suiza, como las navajas. Melús une esa lámina a otra con el soplete. "Es un trabajo muy fácil, lo aprendí con 16 años", explica mostrando sus enormes mofletes tras la máscara. Por delante quedan más de cinco meses de acople de tubos y cables, duchas de agua y arena y pruebas de velocidad para que la máquina esté a punto. Todo en un triángulo del mapa -entre Zaragoza, Valladolid y Madrid- en el que se construye el tren Civia, la estrella de las cercanías de Madrid.

Pero aquí, en la fábrica de Caf de Zaragoza, el futuro vagón aún no se mueve. Los raíles del interior donde juntan, pulen y pintan la estructura están tapados para evitar accidentes. Hay 600 operarios que, como Melús, trabajan en las naves, donde el ruido es como el de un afilador amplificado. La mayoría con máscaras, con tapones naranjas en los oídos, para evitar el estruendo del metal sujeto por una enorme estructura azul de más de un piso de alto aquí llaman la catedral. Por dentro se unen de forma manual, por fuera con robots, que cortan con sus largos brazos las cavidades de las futuras ventanas y puertas y dejan pequeñas virutas plateadas que parecen adornos navideños.

"Estupenda esta máquina, que trabaja igual esté triste o cansada, no falla". Habla el ingeniero Fernando Anoro, el jefe de la planta. Con su bigote peinado y una corbata de círculos examina el trabajo en la nave que huele a ozono, "como el olor de una tormenta justo después de que caiga un rayo". Tres décadas de oficio a sus espaldas. Lo suficiente para halagar de primera mano el cambio del tiralíneas en las mesas en diagonal al diseño por ordenador. "Antes cambiábamos varias veces los planos porque variaba un milímetro de un ingeniero a otro y ya no servía, afortunadamente ahora todos están conectados en red". En las oficinas del piso superior, las mentes pensantes en cubículos separados por cristales ahumados. Cien mandos intermedios y 150 técnicos que dan vida virtual al vagón. Sergio Lafuente, responsable de estructuras, cruza en su pantalla los datos del futuro tren con un simulador de velocidades e impactos. La gama de colores que sale en el ordenador van del azul (señal de todo en orden) al rojo (peligro). Que se encienda el rojo en un impacto figurado en su pantalla significaría miles de muertos en un choque real sobre los raíles. Por suerte no hay ni una motita de carmín en su pantalla. Ventajas de la informática. Ayuda en casos de vida o muerte y también en cuestiones más livianas.

Antes de los CIVIA era necesario hacer una maqueta tamaño real para comprobar cómo quedaría un vagón. "Ahora disponemos de maquetas virtuales en pantallas envolventes que se ven con gafas de 3D", explica Lafuente. "Y nos permite hasta cambiar el color de los sillones o moverlos de sitio".

Nuevas tecnologías en la planta superior. Unos metros más abajo -donde las láminas soldadas ya forman una carcasa metálica- vuelve el proceso manual. En la segunda nave en la que entra el vagón huele a goma y pegamento. Un operario con una manguera baña con arena la estructura. Arena plateada de lujo que se pierde entre los dedos. Es el corindón, un mineral que forma los rubíes cuando es rojo o zafiros si es azul. En este caso, más prosaico que una joya, limpia las asperezas, deja la superficie lisa sin las huellas de soldaduras. El esqueleto del futuro vagón está listo para el maquillaje en la tercera nave, una sala con calefacción donde recibirá tres capas de pasta y pintura minuciosas que le acerca un poco más a su aspecto final. A cielo descubierto, un pintor con el gorro hasta las cejas tapa los últimos agujeros. Ha pasado más de un mes y medio desde que empezó a gestarse el vagón. Ya está listo para su primer viaje, que será en camión. Con los huecos de ventanas y puertas cubiertos con paneles por si llueve y bien sujeto al tráiler hará su único recorrido sin raíles, rumbo a Valladolid.

SEGUNDA PARADA Las tripas

El jefe de fabricación mira el reloj. El camión se retrasa. Un atasco, le avisan. En unos minutos enfila la entrada de la fábrica de Renfe. Llegan las cajas con las sillas, los cables y los tubos construidos en Madrid, País Vasco y Cataluña. Y el vagón, que aún no tiene nombre. Entra uno cada 15 días. En Valladolid -una fábrica de ladrillo visto de principios del siglo XX a unos metros de la estación del AVE- lo visten y lo bautizan. Nada poético. De apellido CIVIA. El nombre parece el de un robot de la Guerra de las Galaxias: 465C23. Lo llevará impreso durante sus 25 años de vida.

Elevan el esqueleto del tren. Lo rodean de andamios naranjas por donde trastearán los especialistas los próximos dos meses. Más de 500 trabajadores propios, otros 150 de empresas externas contratados para llenarle las tripas. Primero, el techo. El montaje dura tres días. En lo alto se instala la climatización, el equipo de extracción y los altavoces.

"Lo más delicado es el proceso de cableado", explica Ismael Ruiz, jefe de fabricación. La luz, la electricidad que mueve el tren, los transmisores que lo frenan, todo queda fuera de la vista del viajero. Las luminarias se colocan después, con el mecanismo que acciona las puertas. "Esto es como montar un mecano", compara Alberto Morales, llave inglesa en mano. 28 años de operario. Suena Radio Oló en su transistor. "Es para entretenernos un poco". Durante ocho horas al día atornilla placas, fija cables y sujeta mamparas. Pertenece a la cuadrilla de internistas, seis trabajadores que revisan centímetro a centímetro las 200 operaciones dentro del vehículo. Después lo llevan a la "ducha", donde lo someten a un lavado a presión para comprobar que no entra agua por ninguna rendija. Le colocan los asientos, los monitores, la palanca de seguridad. Ya pesa seis toneladas, mide 17,7 metros de un extremo a otro, como un edificio de seis plantas. Y lo ensamblan. El vagón se une a otros cuatro. Juntos cuestan cinco millones de euros. Listo para el siguiente destino. Recorrerá 300 kilómetros de raíl para pasar su último examen.

PARADA FINAL El examen

Un tren blanco y rojo de 100 metros toma la curva y entra sin hacer ruido en el taller de Humanes, en Madrid. Huele a nuevo. Es nuevo. "Aquí comprobamos los órganos vitales, los motores", dice Jesús Yuste, uno de los responsables del taller de Renfe donde trabajan 40 personas. Lleva mono, chaleco amarillo y botas gruesas que le permitirán saltar a los fosos y mirar el tren desde abajo. El vehículo está aquí para coger velocidad, para explorar sus límites durante un mes.

Antes de que llegue al andén, inspectores de Renfe, de CAF y de Siemens -responsable del software- lo harán pasar una y otra vez de 0 a más de 100 kilómetros por hora para llenar un archivador de hojas con sus calificaciones, que irán firmadas por la inspección de Renfe para poder cargar viajeros. Probarán sus cinco tipos distintos de freno: el de chequeo, el de servicio, el neumático, de urgencias, auxiliar y de estacionamiento. Todos se suben al tren. A los mandos un maquinista que huele a Baron Dandy. El ingeniero responsable de pruebas en vía, Raúl Mateo, muestra un ordenador lleno de gráficos y curvas. El coche arranca.

"Ponlo a 120", le grita alguien al conductor. Prueban el frenado de urgencia. Tarda 27 segundos en parar. Recorre 481 metros. "Bien, vamos bien", aprueba Mateo. La distancia máxima permitida por el protocolo de seguridad oscila entre 527 y 427 metros. Prueba conseguida. Vuelve a ponerse en marcha y pasa delante de un poblado chabolista mientras unos y otros anotan los registros en la documentación y los gráficos del ordenador. Tiran de la alarma para ver si suena. Y se oye un pitido estridente. También lo anotan en el dossier a unos metros del final de etapa. El CIVIA 465C23 frena en Atocha, listo para el viajero. El nuevo vagón, que empezó su historia en Suiza, ya no volverá a salir de Madrid.